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La funzione del gioco
Riccardo Cazzulo


Il gusto del gioco fine a stesso può essere una bella scoperta per gli adulti che hanno dimenticato la dimensione ludica dell’esistenza.  
Il gioco conduce in un mondo dimenticato fatto di gratuità, assenza di interessi personali e politici dove la soddisfazione personale giunge entrando in una sorta di avventura alla ricerca delle mille possibilità sconosciute e presenti nell’animo di ogni uomo.
L’adulto ha sempre necessità di trovare uno scopo a ciò che fa e quindi anche il gioco molto spesso assolve la funzione di educare i figli, di competere, di acquisire abilità attraverso gli hobbies o ingannare il tempo in vacanza.
La peculiarità che differenzia il gioco dall'attività lavorativa è invece quella di essere un'occupazione che ha il suo aspetto più gratificante in se stessa e non nel fine che raggiunge o nel risultato prodotto.
Il gioco fine a se stesso e senza scopo, come quello che si può trovare in un laboratorio di gruppo ha il grande potere di far entrare il partecipante in un tempo dilatato permettendogli di mettere da parte le preoccupazioni e le ansie di tutti i giorni favorendo un certo distacco da molte situazioni difficili spesso gonfiate dalla propria immaginazione e ritrovando così nuova energia fisica e morale.
Attraverso il gioco avviene il recupero della spontaneità sempre più spesso imbavagliata dallo stile di vita contemporaneo e dai tanti ruoli sociali che ognuno porta con se quotidianamente. Nel gioco l’adulto si comporta come un bambino trovando risposte e soluzioni immediate e spontanee senza ricorrere al proprio status, al raggiungimento di uno scopo immediato ed alla razionalizzazione.
Comportandosi in maniera spontanea e abbandonando il ruolo sociale l’adulto si connette con le proprie risposte intrinseche riscoprendo così una fonte di autorità interna a se stesso e non esterna, controbilanciando in parte la spinta che il sistema il socio-culturale impone all'individuo per meglio affermare e gestire il proprio  potere.

Il gioco si può considerare insieme al rito una delle matrici del teatro. Possiede la prerogativa di creare per il soggetto uno spazio a cavallo tra la percezione cosciente della realtà ed il mondo dell’immaginazione, divenendo così uno strumento che può facilitare il passaggio da uno stadio all’altro della propria storia personale o attraverso le fasi dell’evoluzione della propria identità.
Giocare quindi è un’esplorazione su una linea di confine dove ognuno può avere la possibilità di oltrepassarla aprendo la porta per un salto evolutivo esistenziale o di fermarsi nel momento ritenuto opportuno.
E’ quindi la reversibilità la caratteristica fondamentale che differenzia il gioco dal rito: il rito sancisce un passaggio da uno stato ad un altro in maniera definitiva mentre il gioco concede la libertà di scelta.
Il gioco può definirsi puro se nasce spontaneamente oppure indotto o stimolato quando viene proposto come offerta esperienziale all’interno del laboratorio di gruppo.  

A partire da Freud si riscontrano nel gioco due aspetti basilari rispetto alla vita emotiva del partecipante:
- L'ASPETTO CATARTICO, che corrisponde alla possibilità di scaricare ansie, tensioni, paure, insicurezze e atteggiamenti aggressivi generatisi nei confronti dell'ambiente circostante, il gioco a questo proposito favorisce una distensione dell'Io ed un migliore adeguamento al proprio ambiente di riferimento soprattutto grazie al ricrearsi e al ripetersi in forma ludica della situazione che crea problemi nella vita reale.
-IL CONTROLLO DELLA REALTA', nel gioco è possibile muoversi in maniera libera trasformando in azione eventuali situazioni vissute in maniera passiva nella realtà quotidiana.

Di particolare importanza sono gli studi sull'attività ludica di Winnicot che definisce "spazio transizionale" quel luogo virtuale in cui viene mediato il rigido dualismo tra lo spazio interiore e lo spazio esteriore, tra l'individuo e l'ambiente, nel momento del gioco si possono percorre sentieri di confine tra questi due mondi creando un ponte tra immaginazione e realtà  
Il passaggio dal gioco individuale a quello di gruppo sottolinea la funzione socializzante del gioco, si sperimentano collaborazioni con gli altri partecipanti al gruppo, avvengono dinamiche di suddivisione di ruoli e nasce la possibilità di sperimentarsi e riconoscere i propri talenti in un setting che accoglie e protegge.

Il motore principale del gioco è il piacere procurato dalla pratica e quindi favorisce il riscatto della propria fonte di piacere come punto di partenza indispensabile per la realizzazione della propria creatività esistenziale intesa come problem-solving e capacità di adattamento.


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